Di Francesco Pennacchia
Con Sergio Licatalosi e Francesco Pennacchia
Foto Alessandro Pagni

Nel passato più lontano, in quel vuoto rimosso da tutto e da tutti, nel dimenticatoio del genere umano, in una dimensione irrangiungibile anche per i più grandi esploratori di oggi e di ieri, in un irriducibile prima, nel buco spazio-temporale destinato a rimanere buco senza toppa, lì in quella indefinibile zona senza bandiere né tracce di alcun tipo del passaggio di esseri umani, insomma, proprio lì, troviamo due maschere che si muovono e discorrono da un’eternità, nel vero e specifico senso letterale della parola “eternità”. Aspettano senza sapere cosa significa aspettare. Parlano senza padroneggiare minimamente il logos. E cantano senza aver mai visto San Remo.
Due maschere maledette. O meglio due attori professionisti costretti da una maledizione a ripetere fino alla fine del tempo la storia del loro re perduto, Herla King, il re cacciatore che, maledetto anche lui, dovrà galoppare all’infinito attraverso le foreste, in una caccia selvaggia, macabra e festante.

“Molti dei personaggi fiabeschi o mitici (come ad esempio Sisifo) furono del resto condannati a ripetere all’infinito un’azione, di cui faticano a (ri)conoscere il vero significato. Herla King di Francesco Pennacchia e Sergio Licatalosi esplora questo preciso nesso tra la recitazione, la condanna a ripetere e la fiaba / il mito.”
(Enrico Piergiacomi su “Osservatorio Teatrale” dell’Università degli Studi di Trento)